Quello che mi colpiva di Massimiliano era il suo modo salutarmi. Era un signore sulla cinquantina e, con voce calma, nella videocall del sabato mattina, si rivolgeva sempre a me con una certe reverenza.
Aveva baffi scuri e sottili. I capelli crespi e brizzolati. Gli di un azzurro acqua marina. La voce pareva quella di un baritono; ed era in evidente contrasto con il suo modo quasi femminile di gesticolare.
Entrava nalla call su Zoom. “Buongiorno, Professore!”, sussurrava. Al che io rispondevo: “Max, non siamo mica in università. Sono Maurizio e basta”.
Niente. Non c’era verso. A ogni avvio di riunione online, che tenevamo nel finesettimana, era la stessa storia. E provavo la stessa sgradevole sensazione di essere canzonato e poco preso sul serio.
I segnali sottili che gli altri ci trasmettono
Ci sono persone che, appena le incontri, ti mandano un segnale sottile. Non è un giudizio: è un’intuizione. È il presentimento che qualcosa non torna, o che non tornerà.
A volte questa voce interiore la mettiamo da parte. Lo facciamo per correttezza, per umiltà, per non restare prigionieri di vecchie categorie.
A volte decidiamo di andare oltre, di dare una possibilità. E forse facciamo bene: perché si dà all’altro lo spazio per sorprendere. Ma si dà anche a se stessi la possibilità di verificare il proprio sesto senso.
Io l’ho fatto. Ho dato fiducia dove, in passato, avevo nutrito riserve. Mi sono detto: forse era un pregiudizio. Forse l’altra persona è cambiata.
Forse posso offrire un’occasione, professionale e umana, a chi dimostra di voler crescere.
Valutazioni severe e giudizi fondati
Tuttavia oggi vedo con chiarezza un’amara realtà: quella che credevo una valutazione troppo severa era, invece, un giudizio fondato. Era fondato sull’osservazione, sull’esperienza, sull’ascolto.
Era un giudizio fondato sul talento — quello raro — di saper leggere le crepe nei sorrisi, la supponenza dietro la cortesia, l’egotismo travestito da autonomia.
Provo sempre amarezza, in questi casi. Vorrei potermi sbagliare. Vorrei poter dire che ho visto male. Vorrei poter credere ancora nella possibilità di donare fiducia.
Non provo rancore, verso l’altra persona che ha confermato la mia intuizione, deludendomi. Ma non provo più ammirazione. E questa è una forma di congedo. Non pubblico, non drammatico, ma netto.
È un congedo che assomiglia a quel gesto con cui si chiude una porta con discrezione, sapendo che dall’altra parte non c’è più niente che valga il tempo o l’energia.
L’esperienza deludente mi ha, tuttavia, restituito qualcosa di importante: la fiducia nel mio intuito.
Mi ha insegnato che non tutto va verificato, non tutto va salvato, non tutti meritano lo stesso investimento.
C’è una forma di giustizia interiore che consiste nel selezionare: chi costruisce davvero e chi gioca. Chi riconosce e chi sfrutta. Chi cresce e chi seduce.
La mia vocazione è sempre stata quella di offrire.
Tuttavia da un po’ di anni ho scelto di offrire solo a chi sa accogliere, non a chi prende. Solo a chi vuole diventare, non a chi si crede già arrivato.
La delusione di avere ragione
Dicevo poco sopra che c’è una forma di amarezza sottile che provo quando un’intuizione mi si rivela esatta.
Non è soddisfazione. Non è orgoglio. È piuttosto una malinconia lucida, quasi affettuosa, che nasce dalla constatazione che avevo visto giusto. Ma avrei di sicuro preferito essermi sbagliato.
Non è bello avere ragione quando questo significa che l’altro si rivela mediocre. Che manca di umiltà, di profondità, di gratitudine.
Non è bello avere ragione quando significa che l’altra persona ha scelto di giocare una partita di ego, anziché vivere una possibilità di crescita.
Avere intuito, a volte, è una condanna gentile: vedo troppo presto, troppo chiaro, e non posso farci nulla.
Restiamo spettatori di un’occasione che si spegne, di un talento mal guidato, di una relazione che avrebbe potuto diventare fertile — e invece si chiude, perché dall’altra parte non c’è lo spazio per accogliere.
Allora non è la vittoria a restare con noi. È una piccola sconfitta silenziosa, quello che non poter esprimere la propria generosità. Non poter condividere ciò che si sa, ciò che si è.
Ci prepariamo a offrire il meglio di noi, e scopriamo che non interessa. Non perché non ne valga la pena, ma perché l’altro non è pronto. O non è all’altezza. O semplicemente non ha voglia di crescere davvero.
In quel momento, non perdi tu. Ma non vinci nemmeno. E ti resta addosso una sorta di malinconica giustizia: hai fatto bene a fidarti del tuo intuito. E hai fatto bene, anche, a sperare che fosse un pregiudizio. Ma ora sai che non era così. E devi lasciar andare. Non per rabbia, ma per rispetto: per te e per ciò che offri.
Perfetto, allora procediamo su questa linea, collegando la tua riflessione personale con le teorie della Scuola di Palo Alto. Ecco come potresti sviluppare il tuo articolo, arricchendo la discussione sul pregiudizio e sull’intuizione con i concetti della pragmatica della comunicazione.
La comunicazione relazionale
Quando ci troviamo di fronte a comportamenti ambivalenti, ambigui o contraddittori, spesso accade che sviluppiamo un’intuizione che ci spinge a leggere la situazione in modo critico.
In molti casi, però, questa intuizione può essere per errore etichettata come un “pregiudizio”, soprattutto quando il nostro giudizio si fonda su esperienze passate e su una percezione più profonda, ma meno evidente, dei segnali comunicativi.
Tuttavia, come ci insegna la Scuola di Palo Alto, questo processo di lettura della realtà può rivelarsi non solo corretto, ma anche fondamentale per comprendere le dinamiche sottostanti della comunicazione umana.
Decodificare i messaggi relazionali
Il concetto della “impossibilità di non comunicare” – introdotto dalla Scuola di Palo Alto – ci aiuta a capire come, anche nei silenzi e nelle ambiguità, la comunicazione sia comunque in atto.
Quando una persona mostra segnali contrastanti, come nel caso di quella mia allieva, che alterna aperture professionali e comportamenti ambivalenti, non si può non leggere queste azioni in un certo modo.
Anche se non vengono esplicitate parole chiare, il comportamento non verbale, l’atteggiamento e le scelte comunicative parlano da sole.
In questa situazione, l’intuizione che avvertiamo, quella che inizialmente potrebbe sembrare solo un “pregiudizio”, è in realtà una lettura dei segnali che l’altro ci invia, in modo consapevole e in modo inconscio.
Il livello relazionale del comunicare
Un altro principio centrale della Pragmatica della Comunicazione è che ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione.
Quello che dice una persona non è solo un messaggio verbale, ma rivela anche come la vede e si relaziona con noi.
Nel caso della mia allieva, sebbene le sue parole sembrino esprimere disponibilità e apertura, il suo comportamento evidenzia una difficoltà a coerenza e affidabilità.
Questo crea una dissonanza tra il contenuto verbale (l’intenzione di lavorare insieme, ad esempio) e l’aspetto relazionale della comunicazione (l’incertezza nei suoi atteggiamenti, la mancanza di un impegno chiaro).
È proprio questo che provoca disorientamento in chi la ascolta. Qui l’intuizione si sviluppa proprio dal confronto tra il contenuto delle sue parole e la percezione del vuoto relazionale che c’è dietro.
La comunicazione come processo circolare
La comunicazione circolare è un altro concetto fondamentale che può spiegare come la nostra intuizione si sviluppa. E come le nostre risposte si adattano a quelle dell’altro.
Ogni comportamento, verbale o non verbale, dell’interlocutore provoca una reazione in noi.
Non è solo una risposta passiva a ciò che l’altro dice, ma una lettura attiva e dinamica delle sue azioni.
Quando l’altra persona si mostra ambivalente, noi reagiamo decodificando i segnali che ci lancia,: è proprio questa risposta che alimenta la dinamica relazionale.
La nostra intuizione diventa quindi il catalizzatore di una risposta comunicativa. La nostra, peraltro, non è solo una risposta razionale, ma anche emozionale e interpersonale.
La comunicazione come atto di potere
Infine, come ci insegnano gli studiosi della pragmatica della comunicazione umana, la comunicazione è sempre anche un atto di potere.
Quando la mia allieva sceglie di non accogliere le opportunità che le offro, o di rispondere in modo ambivalente, esercita un potere sulle dinamiche relazionali, mantenendo il controllo della situazione.
Questo comportamento, seppur ambiguo, mi costringe a rivedere il mio ruolo e ad adattarmi alla sua agenda, piuttosto che continuare a offrire la mia generosità e il mio sostegno.
La mancanza di coerenza nelle sue azioni non è solo un segnale di inaffidabilità, ma anche una strategia di controllo.
Questa strategia di controllo si inserisce in un gioco relazionale di potere, dove il controllo delle dinamiche comunicative diventa il vero obiettivo.
La sottile manipolazione attraverso la cortesia
Quando penso ai giochi relazionali di potere non posso non tornare a pensare a Massimiliano.
Il progetto che avevamo deciso di mettere in piedi – un sito web dedicato alle escursioni in montagna, tra laghi e pascoli – alla fine non vide la luce.
Fui io a decidere di interrompere la collaborazione.
Mi ero accorto che, dietro la sua affettata cortesia, Max celava una scelta di potere che non ammettava negoziazioni.
Partiva sempre dandomi ragione, quando proponevo una certa idea. E poi, alla fine, imponeva in modo sottile, ma efficace, la sua idea.
Non c’era modo di trattare. Non c’era modo di discutere. Non c’era modo di uscre da quella gentile stanza fatta di sbarre educate.
Mi ci volle del tempo per rendermene conto. Analizzai più volte cosa non andava nella nostra interazione.
Alla fine, mi resi conto che sapevo tutto sin dall’inizio. Ovvero, sin da quando – senza formulare un pensiero compiuto – avevo “sentito”, avevo intuito, che Massimiliano rappresentava la classica persona che te la dà dritta per farti abbassare le difese. E poi impone la sua scelta, non negoziabile.
Temevo che quel mio sentire iniziale fosse un pregiudizio. Forse per i suoi baffi. Forse per la sua origine di una terra e una cultura che non mi appartenevano. Forse per le movenze femminee.
Nulla di tutto questo. Non c’era pregiudizio. C’era intuizione. Ovvero, un processo mentale che era stato velocissimo ed era venuto prima dei passaggi logici che con il tempo il mio cervello aveva compiuto.
Pregiudizio o intuito geniale?
Alla fine, il confine tra pregiudizio e intuito geniale diventa sottile.
Quello che all’inizio sembra una reazione emotiva basata su un’esperienza passata, in realtà può essere un’accurata lettura dei segnali di comunicazione non verbale, dei comportamenti ambivalenti e delle dinamiche relazionali che ci sfuggono a livello conscio.
L’intuizione, in questo caso, non è una forma di pregiudizio. È una decodifica avanzata della realtà relazionale, che ci consente di afferrare quelle sfumature che spesso non sono esplicitate a parole.
Ogni volta che riconosciamo questi segnali, possiamo scegliere come rispondere. Possiamo farlo nella consapevolezza che la comunicazione non è mai neutra: ogni nostra risposta, anche quella silenziosa, ha il potere di modellare il corso della relazione.
L’importante è riconoscere che la nostra intuizione è un talento da affinare.
La nostra intuizione ci permette di entrare in modo più profondo nelle dinamiche relazionali. E ci consente di evitare di cadere nell’errore di credere che ogni comportamento debba essere spiegato solo attraverso parole esplicite.
Quando mi affaccio dalla tezzazza sul mare, nel centro di Sirolo, avverto un senso di apertura, di disponibilità al dialogo, di volo verso la comunicazione autentica.
Il mare marchigiano – pezzetto del Mare Adriatico – mi si rivolge come per invitarmi a credere nella possibilità del viaggio. Nella possibilità di una relazione sincera, dove si vince assieme. Dove le relazioni di potere restano ai margini del contatto.
Mi piace, allora, gustarmi un bicchiere di vino bianco Verdicchio di Matelica, con la sua mineralità. E ricordare i piccoli piaceri del gusto, dell’olfatto, dell’incontro con chi ama relazionarsi con noi in maniera generosa.
Maurizio F. Corte
* Se mi vuoi scrivere, mi trovi qui: maurizio@praticodinessuno.it
* Sulla Scuola di Palo Alto e la comunicazione puoi leggere la scheda informativa
LA VERITÀ. Francesco Guccini
COME COMUNICARE IN MODO EFFICACE
📬 Iscriviti subito! E ricevi contributi esclusivi.
