Figuraccia, caduta di stile o insensibilità: la gaffe di Antonello Venditti ci dice molto su come il linguaggio che utilizziamo per descrivere l’esperienza della disabilità sia importante. Eterni ragazzi “speciali” o individui?
Cos’è successo sul palco di Barletta, al concerto del cantautore romano? Ecco la cronaca.
L’offesa di Venditti: “Stronzo di merda”
Un grugnito per scimmiottare. E poi: «Li m******i tua… Vieni qua va, vediamo se c’hai il coraggio… str***a di m***a».
Dal palco di un concerto a Barletta, con gli immancabili Ray-Ban sul viso, il 75enne Antonello Venditti si abbandona a una sfuriata dopo che dal pubblico «nel buio», come sottolinea lo stesso cantautore poi nelle immancabili scuse social, si è levata la voce di una donna disabile, Cinzia, di quasi 50 anni.
Un suono senza parole comprensibili, che ha subito fatto pensare a Venditti a una «contestazione politica», a cui il cantante ha pensato bene di rispondere con un’aggressività ingiustificata, rincarando la dose anche dopo che un membro del suo staff si è avvicino per comunicargli che si trattava di un «ragazzo speciale»: «Eh ho capito, un ragazzo speciale che però deve imparare l’educazione», continua Venditti dal palco, visibilmente adirato.
Bufera mediatica sull’offesa alla ragazza disabile
Ecco che scatta la bufera mediatica: dopo il concerto del 25 agosto i TG nazionali trasmettono le clip del momento in questione, girate dal pubblico presente, adottando per Cinzia, e gli altri “ragazzi” come lei, l’epiteto di “speciali”.
Cinzia è una donna con disabilità che è a un concerto con i suoi genitori, che sono anche i suoi caregiver, ovvero si prendono cura di lei.
In questi giorni, Cinzia e le migliaia di italiani come lei, in questi giorni, non sono però altro che un pubblico omogeneo: quello dei “ragazzi speciali”.
Poco importa che gli anni della persona in questione siano quasi 50, e che moltissimi di questi altri “speciali” siano adulti e anziani.
E proprio Venditti, nelle sue scuse su Facebook, rincara la dose: «Tutti sanno quanto voglio bene ai ragazzi speciali, lo possono testimoniare tutti quelli che vengono ai miei concerti. Ho sempre tenuto anzi a dare un posto migliore a quelli che non possono, onestamente, ambirlo [sic]».
Il cortocircuito comunicativo continua ad attorcigliarsi su se stesso: che le scuse del cantautore romano convincano o meno, sia Venditti che i media, oltre che molti degli utenti del web, sembrano non cogliere il vero punto della situazione.
Disabilità, il problema è nell’uso delle parole
Scelta infelice di parole per un video di scuse obbligato? Il problema sono sì le parole. Quelle che tutti utilizziamo per parlare di disabilità.
Cosa è poi esattamente un «ragazzo speciale»? Aldilà di questo eufemismo, che ha il sapore di una pubblicità progresso degli anni Novanta, c’è spesso una persona con disabilità prettamente psichica.
Lo stigma sulla malattia mentale è già forte in Italia, come nel resto del mondo: non importa che questa, proprio come la disabilità, sia uno spettro ampissimo di condizioni molto diverse tra loro.
Se un tempo era un “handicappato”, o peggio un “ritardato”, ora l’individuo che convive con questo tipo di disabilità è “speciale”, nel senso melenso di “diverso ma speciale a modo suo”.
Questo eufemismo del “ragazzo speciale” è gioioso, positivo, caritatevole. Infantilizza ulteriormente individui che spesso non possono vivere in modo autonomo o indipendente, rendendone immutabile nel tempo la condizione (perché questa è la loro essenza “speciale”).
Gli italiani con disabilità psichica sono un’ombra. Quel mare di «ragazzi», che spesso ragazzi e bambini non sono, e che nella vita di tutti i giorni vediamo accompagnati da genitori o familiari, o da addetti e volontari di strutture specializzate.
Nell’intervistare molti dei medici e dei volontari di associazioni che orbitano attorno ai CSM (Centro di Salute Mentale), anche attenti presidenti e psicologi alternano il più corretto “utenti” a “ragazzi”, per poi ritornare sui propri passi non appena notato l’errore.
Perché è un errore usare proprio questo termine “ragazzo/a speciale”? Oltre a quanto già detto, riguardo la posizione di “eterni bambini”; ci viene in aiuto sempre il polverone Venditti
«E i genitori hanno avuto i pass [per il mio prossimo concerto]», dice Venditti nel suo video di scuse, girato rigorosamente senza occhiali scuri a nascondere occhi e intenzioni, spiegando di essersi subito scusato al telefono dopo il concerto proprio con la famiglia della “ragazza speciale”: ancora una volta Cinzia è un’ombra.
Non ci si scusa con la persona insultata e presa in giro sul palco: Cinzia – che ironia della sorte porta il nome di una famosa canzone proprio di Antonello Venditti, Piero e Cinzia – passa in secondo piano.
Certo, in base alla condizione della donna è possibile che quest’ultima non possa interpretare totalmente quanto Venditti avrebbe potuto dirle per discolparsi. Intanto la famiglia ha accettato le spiegazioni del cantante, anche se il padre avrebbe preferito delle scuse fatte direttamentte sul palco..
E poi c’è l’invito-provocazione inviato a Venditti per partecipare allo Special Festival, nato da un’idea di Alessia Bonati (Anffas) e Stefano De Martino, «un contest dedicato ai ragazzi speciali, con diversità intellettiva, protagonisti di una vera e propria gara canora in coppia con artisti big». Della serie: se ami davvero i “ragazzi speciali”, dimostralo.
L’uso del termine “ragazzo speciale”
Non deve sorprendere che proprio un’associazione nazionale delle grandezze di Anffas (Associazione nazionale di famiglie e persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo): utilizzi il termine “special” per il proprio evento.
Il punto è quanto diverso sia l’utilizzo di questo termine da parte di genitori e caregivers, rispetto a quello che ne fa il resto della società, media e giornalisti compresi.
Le parole che noi addetti ai lavori del mondo della comunicazione utilizziamo contano, e fanno la differenza nello sciogliere i nodi di stereotipi, pregiudizi e stigma duri a morire. Per andare oltre.
Oltre l’ormai sdoganato politicamente corretto, per una inclusività vera e non piaciona, vuota, di formule eufemistiche che mettono un cerotto su una questione che riguarda diritti spesso calpestati.
Ma sì, in questi giorni, il rispetto per i «ragazzi speciali» prima di tutto. Specialmente se non concerne un cambiamento profondo e genuino della nostra società e dell’organizzazione del suo –sempre più scarno – welfare. Ma sembra più giusto ed educato far così.
Video con l’offesa di Venditti e le scuse del cantautore
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