Credit immagini: Jean Pormanove/Instagram
Il dramma in diretta: la morte di Raphaël Graven (conosciuto online come Jean Pormanove)
Raphaël Graven, 46 anni, conosciuto online con lo pseudonimo Jean Pormanove, è morto nella notte tra il 17 e il 18 agosto 2025 durante una diretta sulla piattaforma di streaming Kick. La sua morte, avvenuta sotto gli occhi di migliaia di spettatori, ha scioccato la Francia e sollevato interrogativi sul fenomeno dello streaming estremo.
Una maratona fatale
Graven aveva intrapreso una diretta ininterrotta durata circa dodici giorni, pari a quasi 300 ore, con l’obiettivo dichiarato di raccogliere fondi per “mantenere la connessione”. Quando il contatore delle donazioni aveva superato i 36.000 euro, lo streamer è apparso immobile sotto le coperte.
Per lunghi minuti il pubblico non ha compreso se stesse fingendo o meno: la diretta ha poi continuato a trasmettere immagini del suo corpo privo di vita. La “challenge estrema” si è dunque rivelata fatale per il 46enne, già da tempo noto per le live dal contenuto violento e controverso.
Contenuti basati su violenza e umiliazione
Il canale di Jean Pormanove era noto per un format controverso: insieme a due coinquilini e compagni di diretta, conosciuti come Naruto (Owen Cenazandotti) e Safine (Safine Hamadi), Graven metteva in scena episodi di violenza verbale e fisica. Schiaffi, insulti, spinte e atti di umiliazione venivano eseguiti in diretta per aumentare l’audience e raccogliere donazioni.
Grazie a questi spettacoli umilianti Pormanove aveva ottenuto oltre 500.000 follower tra le sue piattaforme sociale e di streaming. Follower che incitavano a una progressiva escalation dei maltrattamenti durante le live a suon di donazioni, raggiungendo cifre di svariate migliaia di euro.
Diversi media francesi hanno parlato di un “business del maltrattamento” che trasformava il dolore in intrattenimento e monetizzazione.
I due “partner” in affari di Pormanove hanno espresso cordoglio per la morte della loro co-star, chiedendo ai follower di non condividere le immagini del cadavere di Jean, ancora in circolo sulla rete dopo la live fatale.
L’inchiesta della magistratura
La procura di Nizza (parquet, cioè ufficio del pubblico ministero) ha aperto un’indagine e disposto l’autopsia, pur precisando che al momento non ci sono elementi “sospetti” di omicidio. L’inchiesta si concentrerà sulle cause mediche del decesso e sul contesto in cui Graven viveva.
Un ultimo messaggio inquietante
Secondo quanto riportato dal quotidiano India Times, poche ore prima di morire Graven avrebbe inviato un messaggio alla madre, scrivendo di sentirsi “sequestrato” dai suoi compagni di streaming e di voler smettere. Una frase che alimenta i dubbi sul suo reale grado di libertà e consenso all’interno di quel progetto.
La politica interviene
La ministra francese delegata al Digitale, Clara Chappaz, ha definito quanto accaduto un “orrore assoluto”. Ha accusato le piattaforme di non vigilare sui contenuti che ospitano e ha segnalato Kick alle autorità di controllo: Arcom (Autorité de régulation de la communication audiovisuelle et numérique, equivalente del garante delle comunicazioni) e Pharos (la piattaforma della polizia francese che raccoglie segnalazioni di contenuti illegali online).
La piattaforma Kick nel mirino
Kick, creata come alternativa a Twitch, ha guadagnato popolarità grazie a commissioni molto basse per i creatori (trattenendo solo il 5% delle entrate, contro il 50% di Twitch). Ma proprio la debole moderazione della piattaforma è diventata il bersaglio delle critiche, dopo la morte di Graven e le denunce sui contenuti violenti trasmessi senza controllo.
Solidarietà e dibattito
Il caso ha avuto risonanza internazionale. Secondo People, diversi artisti e streamer hanno espresso cordoglio, mentre la community discute sull’etica di questo tipo di intrattenimento e sul drammatico epilogo.
Alcuni noti personaggi legati a Kick, tra cui il rapper Drake e lo streamer Adin Ross, hanno dichiarato che copriranno le spese per il funerale di Pormanove.
Fonti: (RSI, BFM-TV, Sky News, People, New York Post, India Times, RTL)
Streaming e community online: spettacoli al limite e la “psicologia del gregge”
La tragedia di Jean Pormanove non può essere letta solo come il caso curioso di un decesso in diretta streaming. È anche il risultato di una dinamica collettiva che mescola spettacolarizzazione della sofferenza, pressione del gruppo e passività degli spettatori.
In psicologia sociale questo fenomeno viene spesso analizzato attraverso il concetto di “comportamento del gregge/effetto gregge” o conformismo di gruppo, che descrive il modo in cui gli individui, immersi in una massa, tendono a sospendere il giudizio critico e ad adeguarsi a ciò che vedono o che viene loro suggerito.
Un cortocircuito che deresponsabilizza l’individuo e alimenta comportamenti che altrimenti sarebbero percepiti come illeciti, riprovevoli o scorretti. E che, purtroppo, vediamo sempre più spesso in azione durante le live stream trasmesse sul web, che contano sull’effetto “shock” e sulle interazioni per aumentare i guadagni attraverso le donazioni degli utenti.
Il potere del contesto e l’obbedienza all’autorità
Uno dei paralleli più citati è con il celebre esperimento di Stanley Milgram (1961-1963) all’Università di Yale, che dimostrò come persone comuni fossero disposte a infliggere scosse elettriche a un estraneo, semplicemente perché un’autorità lo ordinava. Nonostante il dolore apparente della “vittima”, la maggioranza dei partecipanti continuava a premere il pulsante. Milgram concluse che la pressione del contesto può spingere individui altrimenti non violenti a diventare complici di atti crudeli (Milgram, Behavioral Study of Obedience, Journal of Abnormal and Social Psychology, 1963).
In maniera simile, nella diretta di Pormanove, il pubblico non ha interrotto lo spettacolo: la massa di spettatori ha reagito con indifferenza, ironia o passività, mentre l’uomo si spegneva lentamente. Qui non c’era un’autorità a comandare, ma la forza invisibile dell’intrattenimento collettivo e la normalizzazione dell’umiliazione inflitta sulla vittima di turno.
L’effetto spettatore e la responsabilità diffusa
Un altro concetto utile è il cosiddetto “bystander effect” (effetto spettatore), studiato da Bibb Latané e John Darley dopo l’omicidio di Kitty Genovese (1964). Secondo i loro esperimenti, quando più persone assistono a un’emergenza, la probabilità che qualcuno intervenga diminuisce perché la responsabilità viene “diluita” nel gruppo (Latané & Darley, Bystander Intervention in Emergencies, 1970).
In questo caso, migliaia di spettatori hanno assistito al lento spegnersi di un uomo emaciato e abbandonato su un letto, ma quasi nessuno ha agito con urgenza, forse proprio perché immersi in una folla digitale indistinta e “distante”.
Il piacere perverso della violenza spettacolarizzata
Infine, diversi studi hanno indagato il fenomeno della “deindividuazione”: quando si è parte di una folla (fisica o virtuale), si riduce il senso di responsabilità personale e aumenta la propensione a comportamenti estremi (Zimbardo, The Human Choice: Individuation, Reason, and Order versus Deindividuation, Impulse, and Chaos, 1969).
Nel caso di Pormanove, l’umiliazione sistematica era diventata contenuto di intrattenimento, con la logica del “più soffri, più guadagni” ad alimentare il progressivo estremizzarsi dei contenuti messi in scena durante le live.
Questo meccanismo richiama anche gli studi di Albert Bandura sull’apprendimento sociale della violenza: osservare atti aggressivi (anche mediati) può rinforzare e normalizzare la violenza stessa (Bandura, Aggression: A Social Learning Analysis, 1973).
Cosa possiamo imparare da questa tragedia
La morte in diretta di Jean Pormanove è quindi un esempio drammatico di come la psicologia collettiva possa trasformare individui comuni in spettatori passivi di un abuso, senza percezione di colpa o urgenza morale – o in veri e propri “aguzzini digitali” distanti ma presenti attraverso il loro potere economico, che si traduce in azioni e performance eseguite da chi trasmette in diretta spettacoli sempre più estremi.
È il cortocircuito tra tecnologia, mercato dell’attenzione e meccanismi psicologici che da decenni la ricerca studia: conformismo, diffusione della responsabilità, fascinazione per la violenza e un sempre più diffuso interesse per i contenuti scioccanti sul web.
