Le relazioni tossiche sono un tema spesso ricorrente nei prodotti dell’audiovisivo. Nulla di strano, se non fosse che a un certo punto, al di là dei drammi enfatizzati, il pubblico inizia a tifare per la coppia, a sperare di incontrare un personaggio come Massimo, protagonista della saga “365 giorni”, storia d’amore impostata sulla violenza e il possesso.
Si entra in un circolo fantasioso di false aspettative sulle storie d’amore, che rendono la realtà un po’ meno monotona, ma allo stesso tempo ci pone di fronte a una riflessione necessaria: perché le donne confondono l’eccessiva gelosia da parte di un uomo per protezione?
Talvolta il motivo risiede in un desiderio arcaico e radicato nell’animo umano che riguarda la costituzione stessa dell’uomo (procacciatore, responsabile del sostentamento della famiglia) e della donna (accudente, dedita alla famiglia e alla crescita dei figli).
Si tratta di un pensiero innestato sin dalle origini del mondo che ha avuto un margine di adattabilità fino a pochi anni fa. Poi la storia è cambiata, le società si sono evolute e i ruoli maschio-femmina si sono sradicati per percorrere nuove strade più evolute e paritarie.
Eppure, una radice a stampo patriarcale continua a rimanere ancorata al terreno. E ciò si riflette nei personaggi che animano le sale cinematografiche e gli schermi dei nostri dispositivi. Una donna matura capisce forse il confine e sa riconoscere una relazione disfunzionale se la vive sulla propria pelle, ma una ragazzina che si affaccia alle prime esperienze è davvero in grado di fiutare il pericolo?
LA TRAMA DEL FILM “IT ENDS WITH US”
“It ends with us” è un film tratto dal romanzo di Colleen Hoover, scrittrice americana che da piccola ha vissuto in una casa con un padre violento, che spesso picchiava sua madre.
Il libro è permeato dai toni di un riscatto personale. Dopo le angherie a cui ha assistito da piccola, la scrittrice sembra voler esorcizzare un capitolo doloroso della sua infanzia. Nel testo si trovano, infatti, momenti che invitano il lettore a riflettere su cosa significa davvero la violenza domestica, e quali sono le sue conseguenze.
Protagonista è Lily Bloom, una giovane fioraia di Boston dal passato burrascoso a causa di un padre violento. La storia inizia col funerale del padre, un uomo che Lily disprezza.
La sera del suo ritorno in città, la ragazza conosce Ryle Kincaid, giovane neurochirurgo, ambizioso e provocante. Tra i due nasce un’alchimia perfetta che sfocerà presto in un amore travolgente.
Ryle è l’uomo perfetto, bello, intelligente, passionale e soprattutto innamorato di Lily; non perde occasione per dimostrarle il suo amore e supportarla nel lavoro e nel privato.
L’equilibrio di coppia inizia a vacillare quando Lily rincontra Atlas, il suo primo amore adolescenziale, mai davvero consumato per colpa del padre di lei, che quando scopre la relazione della figlia col giovane, non la prende bene e quasi uccide il ragazzo dopo una violenta lite.
Atlas è l’opposto di Ryle; è gentile, premuroso, attento. E si accorge che tra la ragazza che ancora ama e il suo attuale fidanzato c’è qualcosa che non va. I due cercano di evitarsi per non innervosire Ryle, geloso della storia passata tra i due. Ben presto però quest’ultimo non riuscirà a tenere a bada la sua natura aggressiva, che sfocerà in violenza contro la donna che dice di amare.
Nell’adattamento cinematografico le scene di violenza non vengono mostrate in modo chiaro, perché a risaltare deve essere la manipolazione convincente di Ryle, che ad ogni episodio convincerà Lily che si è trattato di un incidente, che è mortificato dall’accaduto e che non succederà mai più. Promesse ogni volta mai mantenute.
PERCHÉ RYLE, IL PERSONAGGIO AGGRESSIVO, PIACE AL PUBBLICO?
Interessante è stato trovare sui social media pagine e commenti in favore al personaggio che abusa e manipola Lily. In alcuni forum online si parla di Ryle come del ragazzo perfetto. Ma come si fanno a giustificare le azioni di un personaggio così rabbioso e pericoloso?
Da un’analisi delle immagini e delle parole utilizzate per costruire il personaggio, si nota come Ryle in realtà venga sempre dipinto come l’uomo protettivo, che farebbe di tutto per la sua amata.
I momenti di aggressività avvengono sempre in corrispondenza dei suoi momenti di eccessiva vulnerabilità. Quando lo vediamo piangere perché preoccupato che Lily lo lasci per Atlas, empatizziamo con il suo stato d’animo. E in questo modo stiamo giustificando in modo inconsapevole il primo schiaffo rivolto sulla ragazza.
Ryle chiede sempre a Lily di essere chiara riguardo i suoi sentimenti per l’ex ragazzo; pretende sincerità nella sua relazione. Cosa c’è di male ad assicurarsi che ci sia fiducia in una coppia? E anche in questa occasione stiamo giustificando il secondo incidente domestico: la caduta dalle scale.
Tali scene destabilizzano il giudizio critico dello spettatore, che si ritrova sulla linea sottile che separa il giusto dall’errore, in quel limbo di dubbi che provoca spavento ed eccitazione allo stesso tempo. E che per questo inebria i sensi e la ragione.
Ryle è affascinate proprio perché pericoloso. È questa sua caratteristica a renderlo attraente.
In realtà il personaggio sviluppa una sorta di dipendenza affettiva nei confronti di Lily, che lo rende pericoloso e bisognoso di cure. Quando di Ryle si scoprono debolezze e traumi passati, si tende sempre di più a empatizzare col personaggio, perché attratte dal bisogno di aiutare un uomo in difficoltà.
L’IMPORTANZA DEL LINGUAGGIO DI GENERE NEI PRODOTTI AUDIOVISIVI
Le problematiche di genere sono un cruccio che la società odierna continua a trascinarsi. Difficile trovare una soluzione a tutti i mali, ma quantomeno provare a cambiare qualche carta in tavola non può che giovare.
Come evitare stereotipi e luoghi comuni nelle narrazioni audiovisive? Attraverso narrazioni al contrario. Bisogna cambiare le domande, il focus dei racconti e gli atteggiamenti che ci esortano a vedere le cose da una sola prospettiva.
Parlare di donne come di sesso debole, e rappresentandole come tali, alimenterà sempre il solito cliché che vede le donne risolvere i problemi di qualunque natura, solo grazie all’aiuto di un uomo. Pertanto è importante ripartire dal linguaggio.
Facciamoci caso. I campi semantici riservati alle donne nei prodotti dell’audiovisivo ruotano spesso intorno al sesso, all’attrazione, alla debolezza e alla superficialità. Sarà pure un luogo comune ma spesso si costruiscono personaggi tossici e cattivi in modo da renderli affascinanti e belli agli occhi del pubblico femminile. Succede al contrario? Si costruiscono personaggi femminili spietati utilizzando attrici di bella presenza per ammaliare il pubblico maschile? E in caso affermativo, in quale percentuale?
In questo modo si incentiva la predisposizione a valorizzare le relazioni tossiche, che ci fanno vedere un personaggio come Ryle, violento e pericoloso, come l’uomo da amare e di cui prendersi cura.
Se non ci si focalizza sulle giuste domande, non si riusciranno mai a trovare le giuste risposte. A da lì partire con le dovute soluzioni.
Sono proprio le parole che si scelgono di utilizzare a fare la differenza, tanto da condizionare spesso decisioni di vita nella realtà. Si pensi ai numerosi modi dire radicati a fondo nel tessuto sociale, la cui radice del pregiudizio fa presto a trasformarsi in stereotipo sessista.
Ma invece di indignarci, spesso ci facciamo una risata. Ed è proprio dietro l’ironia che si nasconde il pericolo, per cui frasi come “gallina vecchia fa buon brodo” oppure “donne al volante pericolo costante”, insinuano il messaggio patriarcale nel tessuto sociale e se ne servono per trasformare uno stereotipo in una convinzione.
Del linguaggio sessista e dei pregiudizi di genere se ne parla in riferimento a un’altra opera cinematografica, “The idea of you”, film su Prime Video che narra la storia di un amore tra una donna adulta e un uomo più giovane.
“Siamo noi a dire basta”, la traduzione italiana del film non coglie il vero significato che la scrittrice ha voluto trasmettere nel suo libro. Ancora una volta si focalizza l’attenzione sulla donna che dice basta, calandole sulle spalle il macigno della responsabilità.
Ma quante donne non sono in realtà in grado di trovare il coraggio di lasciare? Si pensi alla madre della protagonista, che alla domanda della figlia sul perché non abbia mai lasciato il marito dopo i numerosi abusi subìti, risponde “perché la vita sarebbe stata più difficile e complicata senza di lui”.
Quante donne non dispongono del sostegno economico e familiare necessari per renderle libere di allontanarsi da relazioni tossiche e pericolose?
La vera domanda non è “perché non l’hai lasciato alla prima violenza subìta?”. Ma riformulare con: “perché gli uomini sono violenti con le donne?”. Il focus non sono le donne che decidono di restare in relazioni tossiche, ma gli uomini che agiscono da padroni e le trattano da oggetti di proprietà.
VIVIAMO IN UN MONDO DI UOMINI
Un esempio lampante di come le donne siano ancora oggi considerate un passo indietro rispetto agli uomini, lo dimostra il Gender Data Gap, il divario di genere nei dati e nelle ricerche spesso focalizzate su target esplicitamente maschili.
Cosa significa? Che ancora nel 2024, molte ricerche compiute in ambiti che vanno dalla medicina alla sicurezza prendono in considerazione una componente di casistiche prettamente maschili. Quindi se l’analisi dei dati si focalizza su una raccolta che ha seguito in maniera esplicita il punto di vista degli uomini, i risultati che ne derivano serviranno a elaborare soluzioni rivolte al beneficio degli uomini e non delle donne.
C’è ancora un’ulteriore componente da valutare se consideriamo i disequilibri sociali odierni che toccano e impattano le vite di uomini e di donne. I risultati del Global Gender Gap Report redatto dal World Economic Forum, che ogni anno fornisce dati sulla disparità di genere basandosi su criteri che vanno dalla formazione alla politica, mostrano come l’indice di questo 2024, la portata e la velocità dei progressi siano insufficienti per raggiungere la parità di genere entro il 2030.
C’è ancora tanta strada da fare, eppure si continua a focalizzare l’attenzione sulla donna che resta, piuttosto che sull’uomo violento e possessivo.
Ci sono donne che ancora oggi, soprattutto nelle classi socioeconomiche più basse, dipendono economicamente dagli uomini. Il divario di genere in questi casi aumenta in maniera esponenziale e rischia di intensificare problematiche di coppia, provocando dinamiche di dipendenza emotiva e fisica.
“It ends with us” ribalta la narrazione e ci invita a riflettere su quanto siano importanti il linguaggio, la costruzione semantica accurata, in grado di stimolare e canalizzare, in maniera più o meno consapevole, emozioni verso una specifica categoria o problematica.
Le parole sono un potente mezzo espressivo, utilizzate con cura sono capaci di innescare il cambiamento di cui si necessita oggi. Cambiare il focus per evitare storie stereotipate e pregne di pregiudizi.
Si scopre solo alla fine il vero significato della frase originale del film: Lily, dopo aver partorito la figlia avuta con Ryle, lascia l’uomo, chiudendo un cerchio di violenze domestiche che per tutta la vita l’aveva accompagnata.
“Finisce con noi” in realtà è la frase rivolta alla figlia che vuole indicare un punto di rottura con le cornici in cui aveva vissuto fino a quel momento sulla sua pelle e che voleva evitare di far vivere anche alla figlia in futuro, restando al fianco di un uomo violento.
Non siamo, quindi, noi a dire basta, come ci dice l’interpretazione italiana del titolo. La responsabilità del cambiamento non deve cadere sulle spalle delle vittime. Se vogliamo porre fine al corto circuito bisogna ripartire dalla riformulazione delle domande, ponendo sotto i riflettori l’uomo violento. E da lì ripartire con soluzioni più mirate al reale supporto delle vittime.
Il linguaggio audiovisivo potrebbe trarne un reale giovamento a livello di storie e messaggi capaci di stimolare il senso critico del pubblico, stavolta in modo mirato e preciso.
Nicoletta Apolito
COME COMUNICARE IN MODO EFFICACE
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